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Quentin Blake

30 ottobre 2014

Dalla Fabbrica di cioccolato a Matilde, dal GGG a James e la pesca gigante agli Sporcelli, l’inglese Quentin Blake, 82 anni, è stato l’illustratore di quasi tutti i libri di Roald Dahl. Alla House of Illustration, il nuovo museo londinese consacrato all’illustrazione, si celebra la sua opera fino al 2 novembre 2014 con la mostra  “Quentin Blake: inside stories”. Sarà così possibile ripercorrere la carriera di questo straordinario disegnatore, dal tratto vivace, corrosivo e divertente.

 

Come ha iniziato a lavorare?

Al liceo, nel 1949, la mia professoressa di latino vide le caricature che facevo sui quaderni. Mi presentò al marito, pittore e disegnatore, che mi consigliò di inviarle alla rivista Punch. Mi presero subito due disegni, che non erano granché – in seguito ho cercato di distruggerli, ma sfortunatamente sono ancora in circolazione… Lavorai due anni per Punch prima di iscrivermi alla facoltà di letteratura a Cambridge. Seguii anche corsi di disegno dal vero per due anni.

Come ha pubblicato il primo libro?

Un amico, l’autore John Yeoman, mi aveva suggerito di farne uno con lui. E poi anche altri cominciarono a propormi di illustrare le loro opere. Lavoravo sia in bianco e nero sia a colori, li amo entrambi.

Nel 1978 ha lavorato per la prima volta con Roald Dahl, per Il coccodrillo Enorme.

Il nostro comune editore mi aveva chiesto delle prove – altri disegnatori erano probabilmente in gara. Per adeguarmi alla storia, dovevo modificare un po’ il mio stile, essere appena un po’ più caricaturale e aggressivo nel tratto, utilizzare colori più vivi. Roald era insoddisfatto: i miei schizzi non erano sufficienti, ne voleva di più. Gliene ho fatti altri venti in tre giorni. Non era ancora contento. Poi, fino alla morte, nel 1990, sono statoi per lui “la persona che faceva i suoi libri”, anche se due o tre non li ho disegnati io. Aveva fama di essere difficile, ma non poi così tanto. Andavamo nella stessa direzione e raramente eravamo in disaccordo. Sentivo quello che voleva.

E cosa voleva?

Malizia e bricconate – era molto più cattivo di me ! E molti disegni per uno stesso racconto.

Come lavora oggi?

Non disegno dal vero, mi accontento di immaginare le persone e le cose. Non è necessario essere perfettamente giusti nella rappresentazione, basta arrivare a scatenare una reazione emotiva con il tratto. Per questo cerco di illustrare il momento che si svolge appena prima dell’azione: è sempre meglio anticipare quello che sta per accadere, immaginarlo, piuttosto che vederlo integralmente rappresentato… Amo il disegno narrativo, ho sempre bisogno di raccontare una storia. Ma non penso che potrò mai realizzare un fumetto – anche se uno dei miei libri, Clown, ci si avvicina. Per me il fumetto, con i suoi piccoli quadri, assomiglia al cinema, mentre l’illustrazione di un romanzo ha più a che vedere col teatro. Amo lasciar andare il mio tratto su una pagina bianca, cercare il modo di essere il più suggestivo possibile.

(mia traduzione da Télérama)